venerdì 29 gennaio 2010

cose che ho fatto...


Per i disegni, in ordine alfabetico, di Giorgio Cavazzano, Massimo De Vita, Luciano Gatto, Marco Meloni, Ottavio Panaro, Giampaolo Soldati... L'elenco completo lo trovate qui!

Copyright Immagini The Walt Disney Company Spa

martedì 12 gennaio 2010

L'intervista - SERGIO ALGOZZINO
























SERGIO ALGOZZINO: ANDANTE, CON BRIO
di Manuela Capelli


(Satura - trimestrale di arte, letteratura, spettacolo, N° 8/2009 www.satura.it/)


Non può prescindere da un riferimento musicale un titolo su Sergio Algozzino, fumettista (e non disegnatore di fumetti!) che, letterariamente, orchestra ogni sua vignetta. Fil rouge della sua produzione, la musica entra ed esce dalle sue opere, mentre lui si trasforma di volta in volta in ascoltatore, musicista, illustratore di libretti musicali, e creatore di fumetti a tema.
Classe ’78, Algozzino vanta nella sua pur giovane storia, esperienze – significative - da colorista, scrittore e saggista. Nonché, divulgatore.
Negli anni, lo vediamo passare dalle pagine di Fandango (Panini Comics) che lo accolgono nel 2000, alla collaborazione con Red Whale a Spider-Gek, la strip creata insieme a Manlio Mattaliano, pubblicata ogni mese sulle pagine dell’Uomo Ragno (una striscia umoristica che ha per protagonisti le mascotte animali dei supereroi della Marvel). Ma è il 2007 l’anno della svolta, con la pubblicazione – in Francia - del primo libro completo, Pluie d’été per l’editore Les Humanoides Associés, edito in italiano nel 2008 dalla 001 Edizioni, con il titolo “Pioggia
d’estate”.
Lo stesso anno in cui realizza per le edizioni Beccogiallo, l’omaggio a Faber dal titolo “Ballata per De André”, graphic novel dai toni dolceamari, con cui Algozzino rende il suo ultimo, personalissimo saluto al cantautore genovese. Un fumetto che è quasi un testo teatrale, sul cui palco di vignette salgono i protagonisti di alcune delle canzoni più famose di De André: Bocca di rosa, Tito, Marinella, il bombarolo, il giudice, il gorilla. Ma Algozzino è anche… ironia. In Francia, infatti, pubblicamensilmente sulle pagine del Launfest Mag delle edizioni Soleil le strisce di Epictete, le avventure di un cane scritte da Guillaume Bianco, di cui nel 2009 esce il primo volume monografico.
L’uomo saggio che si nasconde dietro l’autore si rivela invece nella pubblicazione “Tutt’a un Tratto – Una storia della linea nel fumetto”, edita nel 2005 da Tunué, dove Algozzino tratteggia l’itinerario percorso dalla “linea”, elemento fondante del fumetto in quanto linguaggio grafico-narrativo, in oltre un secolo di storia di letteratura disegnata.
Fra le sue interpretazioni, lo vediamo anche insegnante presso la Scuola del Fumetto di Palermo e fondatore del portale didattico Kinart
(www.kinart.it), il primo sito italiano che pubblica gratuitamente Tutorial di professionisti del fumetto. Proprio in uno di questi è lui stesso a raccontare la realizzazione di una piccola storia a fumetti ispirata al testo di una canzone, per la rivista “Mucchio selvaggio”.
Vedere la nascita del progetto – dallo storyboard alla scelta dei pattern (per The Musical box dei Genesis) - è come entrare nell’atelier e osservarlo al lavoro. Che è poi il principio del suo ultimo lavoro, il graphic novel “Comix show”, storia di Andrea, alter ego dell’autore, alle prese con un’impellente scadenza.
Nel frattempo, la musica torna a chiamarlo per la realizzazione dei disegni del video Mr. Man del gruppo dei Joy Cut: un video animato,
sorto dai disegni realizzati per il libretto. Del resto, per lui, la musica “è la più grande esperienza multimediale cui si possa aspirare,
ed è lì, sotto gli occhi, anzi le orecchie, di tutti: rimane attaccata alle ossa, ha il potere di rievocare non solo ricordi, parole o immagini, ma anche odori.”
Lo stesso effetto che Algozzino è riuscito a ricreare nelle pagine di “Ballata per Fabrizio De André” che, diventando sempre più chiare
come il tratto che incornicia le tavole, evocano la presenza del loro autore: nei quattro atti dell’opera, infatti - l’incontro, la veglia,
il funerale, il commiato – emerge in sordina quello che è stato giustamente chiamato “un manifesto della poetica di De André”. Appassionato da sempre del cantautore-poeta, Algozzino ha scelto l’originale approccio del suo lavoro ispirandosi a una struttura che
aveva potuto già amare “in un numero di Ken Parker con protagonisti i vari eroi del fumetto, la conclusione di Sandman, con la
carrellata di personaggi riuniti per l’occasione. Trovata la chiave, fu abbastanza semplice definirne la struttura. I dialoghi e la sceneggiatura, invece, hanno avuto una gestazione più tormentata.”
Dialoghi brevi, incorniciati dalla linea grafica tremolante che è ormai il segno distintivo dell’autore, una tecnica sorta per caso per
un episodio di Epictete in cui si supponeva che Algozzino si fosse rotto il polso. Una linea che rende perfettamente lo spaesamento
di questi “personaggi in cerca d’autore” nello scoprire che il loro, di autore, non potrà più dar loro voce. Dialoghi brevi, dicevamo,
ma intensi, nati dall’ascolto, ogni volta nuovo, della discografia di De André: perché la magia della musica è proprio far scaturire ogni
volta un’emozione.
Lo stesso effetto prodotto da un altro genere di musica, il suono della Pioggia d’estate, rapida e improvvisa,ma indimenticabile: come
i ricordi del libro omonimo in cui Algozzino fa un tuffo nel passato: dal Commodore 64 ai Transformer si apre un mondo in cui tutti si possono rispecchiare, perché i suoi ricordi sono ricordi di una generazione e, in questo senso, diventano universali. Un mondo narrato con quello stile intimistico – umoristico che a volte fa sorridere, a volte rende malinconici: l’auto-fiction che, tanto amata in Francia, ha fatto sì che proprio i nostri cugini transalpini stampassero la prima edizione.
Ma Algozzino è amore per Palermo, per l’Italia, ed è l’edizione dedicata ai suoi conterranei che ha voluto arricchire con uno dei suoi sogni di bambino, come si vede nel libro: oltre a due nuovi episodi, ha infatti inserito un’introduzione e, soprattutto, un backstage con alcuni storyboard e matite, ovvero il suo bisogno di divulgazione. Una qualità da approfondire.

Tu insegni alla scuola del fumetto di Palermo, ma hai anche fondato il portale Kinart, che raccoglie tutorial di vari fumettisti, disponibili per chiunque gratuitamente. Perché per te la divulgazione è un aspetto così importante?
Non ho frequentato una Scuola del Fumetto, e tutto quel che so l’ho conquistato con fatica, rubando informazioni quando potevo, rompendo
le scatole a tutti i professionisti che trovavo in giro, o andandoli a cercare quando iniziai a frequentare lemie prime fiere del fumetto. Sono ancora convinto che un cammino individuale ti faccia apprezzare meglio quello che impari, perché lo fai con le tue forze, ma bisogna anche saperlo prendere nelmodo giusto, e una scuola riesce ad accelerare notevolmente i tempi di apprendimento.Ma dipende tutto da te, sempre.
In adolescenza avrei sognato un portale come Kinart, dove potere andare a fare le mille domande che avevo in testa, e ringrazio tanto tutti gli autori che come me credono nel progetto e che ogni giorno aiutano qualche disegnatore in erba.
Sotto lo stesso punto di vista si possono inserire i “dietro le quinte” che realizzi alla fine di alcuni tuoi lavori? Una
forma di divulgazione?

Quella è più una conseguenza del mio amore viscerale per il fumetto, che fin da piccolo mi ha sempre portato a disegnare vignette e non illustrazioni singole, così, alla fine di una storia, mi divertivo a rilegarla, aggiungere una introduzione, a volte una finta pagina della
posta e l’immancabile backstage, perché era quello che amavo trovare in un fumetto quando lo acquistavo, anche se in realtà non c’era quasimai. Fa parte dellamia continua voglia di conoscenza del mezzo.
Pioggia d’estate è una sorta di autobiografia: torni indietro nel (tuo) tempo. Come permolti scrittori, anche in letteratura, un inizio classico. Non si è mai troppo giovani per ricordare il passato?Pioggia è per me una autobiografia piegata ai miei voleri: non ho l’età per permettermi di raccontare chissà cosa, dunque gioco su quelle piccole cose che abbiamo in comune tutti (il liceo, i videogiochi, i cartoni animati, i luoghi che ti hanno segnato, ilmare, i giocattoli...), che non metteremmo mai in una biografia ufficiale ma che ci portiamo dietro giorno dopo giorno, e che amiamo ricordare insieme agli amici. E’ soltanto una mia visione delle cose, senza impormi nellamemoria di nessuno, cercando solo di stimolare emozioni e ricordi sopiti.
Fumetto e cinema: quali sono i tuoi riferimenti in questo campo, che per molti fumettisti è un’ispirazione importante?
E, da un punto di vista più tecnico, ritieni che ci siano inquadrature che sono ormai parte del tuo modo di disegnare più di altre? Con cui rendi meglio la tua visione del mondo?Fumetto e cinema sono fratelli, si annusano fin dalla nascita e si influenzano vicendevolmente. Amo il cinema e ancor più, ultimamente, le serie tv, che hanno un linguaggio ancora più vicino al fumetto seriale. Non credo di avere delle inquadrature preferite, ma sono un fanatico dei “tagli” delle vignette, di quello che si sceglie di inserire, da lì il mio amore per artisti del calibro diAlexToth.
Sempre a proposito dei rapporti con le altre arti, ho letto sul tuo blog che “è sbagliato giudicare i fumetti utilizzando,
come si è soliti, i parametri della pittura moderna. Per asserire infatti che il fumetto ha una sua dignità è necessario
sdoganarlo dai continui paragoni”. E utilizzare canoni propri, deduco. Quali potrebbero essere, secondo te?

Io dico che il fumetto è un’arte a parte, l’arte del fumetto, per l’appunto, ed è quindi sbagliato giudicare un fumetto in base ai parametri della pittura, e quindi riconoscere se un disegnatore è più artista di un altro solo in base a quello. L’arte del fumetto è molto di più, noi che la pratichiamo lo sappiamo bene,ma se noi stessi ci ostiniamo a distinguere graphic novel da fumetti seriali, dividendoli, facciamo già un
grosso errore: ci sono numeri di Dylan Dog chemeriterebbero un posto in libreria ben più che certi volumi cartonati e ben presentati.
Disegno umoristico e disegno realistico: fra i due generi timuovi senza difficoltà. Tu hai una preferenza fra i generi?
Credo di no, fra l’altro nelle storie che scrivomischio volentieri, narrativamente, tutti e due i generi. Questo, credo, dipende dalmio amore per il fumetto giapponese, che riesce a inserire momenti demenziali in storie a volte serissime, anche cambiandomodo di disegnare
in quella stessa vignetta. Tezuka è un altro maestro assoluto.
“Io so che della sua infanzia ricordava soprattutto la casa di sua nonna”: nella Ballata è Angiolina a pronunciare
questa frase che mi ha fatto venire in mente i tuoi continui riferimenti a tua nonna. Gli affetti, ilmare, l’amore
per la propria terra… non c’è solo la musica a legarti a De André.

No, il legame con De André è molto più profondo, mi rispecchio in molte delle sue idee, di conseguenza amo la sua musica, non so cosa viene prima in effetti, ma di certo non mi fermo solo all’ascolto di una sua canzone. In questo, realizzare Ballata mi ha aiutato molto a focalizzare tutto quel che amo di lui.
Ho letto che “Nuvole” è stata il primo album che hai ascoltato di De André: un significativo preludio di questo tuo incontro con Faber. Oltretutto la canzone omonima recita “Certe volte sono bianche e corrono e prendono la forma dell’airone o della pecora o di qualche altra bestia ma questo lo vedono meglio i bambini che giocano a corrergli dietro per tanti metri”. Anche i fumettisti lo vedono?
Noi fumettisti viviamo di fantasia, e di deformazione della realtà, anche il fumetto più realistico è comunque un’interpretazione
di quello che ci accade intorno, non sarà mai un documentario freddo e impersonale. La lavorazione: per te viene prima la parola
o il disegno? Hai detto che Pioggia d’estate è un libro in cui “ho scritto tantissimo, pure troppo, ci sono alcune tavole strabordanti di testo e didascalie, ma non toglierei una virgola.”
Quanto ti impegna, nella realizzazione, la scelta del linguaggio?
Devono essere di pari passo, Pioggia ha tanto testo ma non avrei potuto fare Ballata in quel modo, diciamo che dipende dalla storia e dal tipo di fumetto che sto realizzando. Generalmente non decido nulla,mi lascio trascinare dalla storia, dai personaggi e il linguaggio verrà da sé.
Nomini spesso la Passione che ti guida.
Passione deriva dal latino “patior”, soffrire. Una condizione che si subisce, un’emozione che è più forte di noi…Sei un fumettista romantico (nel senso storico-artistico del termine, ndr)?
Ho paura di sì.Mimuovo solo seguendo lamia passione, che in primis è per il fumetto ma che in realtà è per un mucchio di cose... sono carico di passione, il che è veramente una sofferenza, perché difficilmente riesco a dire di no a qualcosa che mi piace, e, appunto, sono davvero tante le cose mi piacciono...
Per concludere, quali strade ti farà seguire ancora la tua “linea”?
Non lo so, il che è un drammama nello stesso tempo è un sollievo. L’anno prossimo potrei trovarmi a scaricare cartoni da un camion, è un lavoro difficile da sostenere con costanza, ma ho tante storie che vorrei raccontare, e qualcosa, prima o poi, uscirà fuori.


Immagini di proprietà di Sergio Algozzino

L'intervista - GUD








GOOD JOB, GUD!
di Manuela Capelli


(Satura, trimestrale di arte, letteratura, spettacolo http://www.satura.it/)

“Se una persona ha brutti pensieri, dopo un po’ glieli leggi in faccia. E quando i brutti pensieri li ha ogni giorno, ogni settimana, ogni anno, il suo viso diventa sempre più brutto, finché diviene talmente brutto che non sopporti quasi più di guardarlo. Una persona con pensieri gentili non potrà mai essere brutta. Potrà avere il naso bitorzoluto e la bocca storta e i denti in fuori, ma, se ha pensieri gentili, questi le illumineranno il viso come raggi di sole, e apparirà sempre bella.” Roald Dahl (Llandaff, 1916 – Great Missenden, 1990)

"Vignettiere, stripparolo e fumettiere”: si definisce così all’inizio del suo blog uno dei giovani più attivi del fumetto umoristico italiano, Daniele Bonomo, in arte Gud, di cui è appena uscita la deliziosa favola contemporanea Heidi mon amour, storia di Tommaso Speranza, che da piccolo si innamora di Heidi versione cartone animato e da grande di una Heidi in carne e ossa, dando vita a una di quelle storie d’amore “con la A maiuscola”. Ovvero, travagliate come la fiction televisiva di cui la Heidi adulta, da semplice truccatrice, diventerà protagonista.
Una storia dolce e realista, in cui l’autore si mostra capace di catturare – dall’inizio, quando la vita si svolge nella campagna dove Tommaso abita con il nonno e i suoi amici animali, alla fine, in quella Roma dove l’autore, che la vive da anni, fa muovere l’ormai cresciuto Tommaso – una variegata gamma di espressioni.
Sono proprio queste a rivelarsi il tratto peculiare di Daniele, un tratto riconoscibile anche nella sua prima opera a fumetti, “Gentes”, una raccolta di brevi storie umoristiche (di cui una, “Francesco e le foglie”,
candidata come miglior storia breve per il premio Carlo Boscarato 2008, dedicato alla memoria dello storico autore trevigiano), più il risultato della maratona che per gli esperti del settore risponde al nome di 24h del fumetto: 24 tavole, realizzate, appunto, nell’arco di una giornata.
Un volume molto interessante che chiude ognuna delle singole storie con una citazione (fra cui quella con cui apriamo l’articolo): citazioni diversissime che, da Rousseau a Bob Marley, mostrano una particolare attenzione dell’autore verso il mondo che lo circonda, una particolare sensibilità nei confronti delle emozioni.
In “Gentes”, infatti, in questi piccoli universi a sé stanti di umana quotidianità, Daniele era riuscito a ritrarre tutta una serie di personaggi che, come le vecchie figure della commedia dell’arte, ricalcano tipi umani specifici: un metodo sempre vincente, universale, perché, a-temporale e a-spaziale, si rivela in grado di agganciare il lettore, garantendogli di riflettersi in uno o nell’altro dei personaggi descritti, in uno o nell’altro degli episodi in cui è facile per chiunque ritrovarsi e riconoscersi.
In sintesi, partire dallo stereotipo per riproporre tramite la forma del disegno, più diretta, più incisiva, anche grazie al suo stile semplice e scarno di particolari, per indurre alla meditazione.
Una lezione imparata dal maestro cui ha dedicato anche un saggio: Will Eisner. Il fumetto come arte sequenziale, l’artista americano che, riportando le parole di Gud, “attraversando trasversalmente tutta la storia dell’arte sequenziale dal 1936 a oggi, ha trasformato i comics americani da romanzetti a un linguaggio con un proprio vocabolario e una propria grammatica.” E, ancora, “Le sue opere assumono una rilevanza dal punto di vista sociologico, non solo perché utilizza il mezzo di comunicazione fumetto, ma anche e soprattutto perché ci racconta le dinamiche della società, secondo quelle che sono state le sue personali esperienze”.
Libro pubblicato per la stessa casa editrice, “Tunué, Editori dell’immaginario”, specializzata nella saggistica dedicata al fumetto e alle graphic novel di talenti italiani e internazionali, di cui ora Daniele conduce, insieme a Sergio Badino (autore e sceneggiatore genovese, ndr), anche “Mono”, una rivista monotematica e composta da mono-tavole autoconclusive che riuniscono in un unico volume diverse visioni d’autore su uno stesso argomento.
Daniele, infatti, il fumetto non si limita a scriverlo, disegnarlo e analizzarlo, ma lo insegna e lo dirige, impersonando a tutto tondo quel “comics provider” che è anche il nome del sito da lui fondato e gestito per offrire on demand un po’ di sano umorismo. Dalla laurea in scienze politiche, infatti, ha fatto molta strada, lungo un percorso che lo ha visto giornalista pubblicista, insegnante di fumetto e storia del fumetto nella sede romana della Scuola Internazionale di Comics, direttore del settimanale online Segnalidifumo.it e, appunto, dell’agenzia Comicsprovider.com.
La prima volta, Daniele l’ho incontrato a novembre a Lucca, Luccacomics ovviamente: era il 2007 e presentava “Gentes”; la seconda volta, di nuovo a Lucca ma nel 2008, riesco a sfoderare un po’ di faccia tosta e gli chiedo se mi regala lo schizzo realizzato fra una richiesta e l’altra dei visitatori dello stand Tunué.
Il disegno, infatti, mi aveva affascinato: pochi tratti che traspiravano malinconia, pur nella festosa atmosfera dell’evento. Come il volume che avevo letto l’anno prima. Vado a cercare sul web quello che non so di lui; fra vecchie interviste e presentazioni, scopro che:
• ama “la memoria narrativa di Will Eisner (più che per il tratto proprio per la sua attitudine a raccontare cose semplici ripescate dai ricordi), i romanzi di Daniel Pennac, quelli di Stefano Benni e di Walter Moers. Per i fumetti su tutti c’è Manu Larcenet, prolifico autore francese che comincia ad essere pubblicato anche in Italia. Poi c’è Bill Watterson di Calvin e Hobbes, Reiser con il suo tratto, Craig Thompson, Marjane Satrapi, Jacovitti, Bonvi e Mauro Talarico, vero genio contemporaneo del fumetto umoristico italiano”.
• ritiene che “gli spazi per chi vuole raccontare al di fuori delle logiche commerciali ci sono, è che non sono spazi retribuiti come gli altri, tutto qui. Credo dipenda dai lettori, dalla cultura del leggere fumetti diversi dall´intrattenimento puro. Per mia fortuna negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando...”
• per Gentes si è ispirato a molti autori, umoristici e non: “mentre disegnavo in testa avevo il tratto incisivo di Reiser mentre la mano continuava a cercare un segno più pulito (Lewis Trondheim, Matt Groening, Zep?), ne è uscito un ibrido, di cui tutto sommato sono soddisfatto”.
Soprattutto, mi colpisce che la cosa che ama insegnare in primis sia l’importanza della curiosità.
Condivido. E decido di intervistarlo anch’io.
Prima di tutto, una curiosità: Gud sta per…
Il mio cognome è Bonomo, quindi già dalle scuole medie hanno cominciato a chiamarmi Goodman, che è diventato Good e infine si è trasformato in Gud.
Iniziamo dalla tua ultima opera. Una storia d’amore, un amore vero, di quelli che, seppur ostacolati, durano tutta la vita… insomma, un amore proprio da romanzo. Nella vita vera, è difficile il matrimonio? O è difficile l’amore? O si possono prendere entrambi con quell’ironia che sembra caratterizzarti?
É L’Amore con la A maiuscola il vero protagonista di Heidi mon Amour, e la A è talmente grande che impedisce a Tommaso Speranza di vedere altro. La sua vita è focalizzata su Heidi, sul loro matrimonio e sulla loro vita insieme, una vita a volte difficile proprio perché alla base del loro rapporto forse c’è questo vizio di forma, è dura convivere con quella che è stata il tuo idolo sin dall’infanzia.
Filo conduttore delle tue storie, una malinconia di fondo che coincide poi con l’ironia che fai trasparire nei confronti della vita. Il confine è così labile?
Per come la vedo io sì, il confine è labile e trovo interessante provare a muovere le mie storie in bilico tra l’ironia e la malinconia cercando di smuovere le emozioni del lettore in un senso o nell’altro.
Un altro tema. La morte. Che sottende tutto il libro: scriverne o disegnarla è catartico?
Amore e Morte sono la base della storia e sono tematiche che mi coinvolgono. In alcuni passaggi, mentre disegnavo o scrivevo la storia mi è scesa una lacrima.
Parliamo di “Gentes”, la tua prima opera intera: oltre alla storia nata nella 24 ore, storie brevi com’è tipico per gli esordienti. Com’è stata la lavorazione? Lunga e puntigliosa, per cui l’opera è perfetta, o se potessi ora cambieresti qualcosa?
Partendo dal presupposto che nessuna opera è perfetta, e che appena finita una tavola vorrei immediatamente ridisegnarla, posso dire di essere molto soddisfatto di Gentes come libro, anche per la risposta che ho avuto dai lettori. Dentro Gentes magari c’è qualche vignetta che vorrei cambiare, ma a vedere l’insieme non cambierei una virgola.
Definirei il tuo disegno “naif”, semplice, primitivo, essenziale, ideale per indurre a un’approfondita lettura del testo. Ti senti più narratore o più disegnatore?Direi che mi piace raccontare con i disegni. Gli occhi, le espressioni, è difficile disegnare l’espressione dell’amore? É difficile disegnare e trasmettere le emozioni. Un segno grafico sintetizza la realtà, un segno grafico che funziona la rielabora e gli attribuisce
nuovi significati e coinvolge anche emotivamente il lettore.
La copertina, invece, soprattutto in quest’ultimo caso, contribuisce a infondere al libro lo stato di sospensione della favola. Come lo realizzi e perché hai scelto di renderlo in questo modo?
Ho realizzato la copertina di Heidi mon Amour utilizzando i colori acrilici. La ragione è che con questo libro ho cercato di avvicinarmi il più possibile al lavoro artigianale dell’autore di fumetti. Tutte le tavole originali infatti sono così come si vedono in stampa già con il lettering definitivo fatto a mano così come tutte le scritte che compaiono sul volume (a parte il codice a barre).
Anche sulle cose a colori ho voluto “sporcarmi le mani” evitando il più possibile di utilizzare il computer e le tecniche digitali che fanno ormai parte integrante del mio lavorare quotidiano.
Come procedi con il lavoro? Sei di quelli che buttano prima giù il dialogo? O viene solo dopo?Testi e disegni vengono insieme, magari ho in mente la fine o l’inizio di una storia e al tavolo da disegno cerco di riempire le parti che mancano, di solito già sotto forma di storyboard. Questo naturalmente vale per le storie brevi, le strips e le vignette. Per Heidi mon Amour invece ho dovuto fare un lavoro preventivo a livello di testi anche perché gran parte del libro lo avevo già scritto sotto forma di romanzo, quindi c’è stato un grosso lavoro di adattamento prima di procedere con lo storyboard.
Che differenze hai notato fra la realizzazione del primo libro e quella del secondo? Cos’è stata la cosa più difficile in quest’ultimo?
Tra Gentes e Heidi mon Amour ho acquistato maggiore sicurezza, ecco anche spiegato il salto dalle storie brevi al romanzo che, proprio per la sua lunghezza, mi ha impegnato soprattutto dal punto di vista della coerenza e l’armonia del segno per tutta la durata della storia.
Com’è iniziata la tua carriera? O meglio, come è avvenuto il passaggio da “laureato in scienze politiche” a “fumettista tout court”?
Ho studiato alla scuola internazionale di comics nella sede romana, dove da qualche anno ho il piacere di insegnare. Il cammino universitario è proceduto di pari passo, tanto che mi sono laureato e ho finito la scuola nella prima settimana di luglio del 2000.
Da allora ho cominciato a lavorare da subito come disegnatore, soprattutto con la mia agenzia comicsprovider.com che si occupa di fornire contenuti disegnati conto terzi. Dopo qualche anno a lavorare per committenze esterne al mondo del fumetto ho sentito la necessità di fermarmi un attimo e tornare al mio amore per il racconto a fumetti, così è nato Gentes, come reazione al lavoro mercenario del disegnatore prestato alla pubblicità e ai corporate comics.
Base di un buon fumetto è proprio una buona “cultura di base”: letteratura e cinema, in primis. Tu quanto devi alla tua? Quali sono i tuoi riferimenti/le tue influenze in questi due campi?
Mi interessano le storie ben raccontate che facciano divertire e pensare allo stesso tempo e adoro i film che ti proiettano nel loro mondo senza chiedere niente. Cito a coppie: per la lettura Roald Dahl e Daniele Pennac; Per i film: il favoloso mondo di Amelie e i Goonies.
Che rapporto hai con le citazioni? Come le consideri? Un metodo più veloce per rendere un messaggio, o un buon modo per diffondere pensieri che hai amato?
In Gentes le citazioni sono delle frasi che mi hanno segnato e che avevo segnato mentre le incontravo nei libri che leggevo, nei film che vedevo o nelle canzoni che ascoltavo. Le ho scelte ed inserite nel libro perché in un certo senso completavano il percorso delle mie storie e davano quel valore aggiunto di cui a mio avviso il libro aveva bisogno. In Heidi mon Amour invece ci sono molte citazioni, ma sono perlopiù nascoste nella narrazione, sono omaggi a tutto un mondo che mi circonda e che vorrei condividere con chi legge il libro.
Ora, in parallelo con l’attività di vignettiere, l’avventura con Mono, dove sei in regia con Sergio: qual è la sfida in questo caso?
Per mono, la rivista monotematica della Tunué, la sfida è importante e impegnativa: tornare a far sperimentare gli autori di fumetti, facendoli cimentare su tematiche nuove (e impegnative), cercando di far avvicinare più gente possibile al fumetto.
Il primo numero di Mono della nuova gestione
(il numero 6, ndr) è stato un successo. Del resto, ho letto in una tua intervista che ritieni la situazione del fumetto italiano fiorente, fuori dal circuito ufficiale. È davvero così?
La situazione del mercato italiano è molto lontana da quella dell’industria d’oltralpe o americana, ma comunque a mio avviso sta vivendo un buon periodo. Rispetto a qualche anno fa per un autore ci sono molte più possibilità di pubblicare le proprie cose, con il vantaggio evidente di poter crescere insieme ai propri lettori.
Programmi futuri?
Per il momento sono al lavoro sul numero 7 di Mono e sto cominciando una storia a fumetti senza parole, a colori questa volta, indirizzata ad un pubblico dai 5 ai 110 anni.
Per salutarti, spero ti faccia piacere sapere che credo tu stia riuscendo nell’obiettivo che ami ripetere e che condivido in pieno: “Cerco di far ridere la gente”.
E di questo sono molto contento e ti ringrazio assai!



Immagini tratte da Heidi mon amour, più una cartolina di Gentes. Copyright Gud/Tunué.

Bibliografia:
Intervista ”Emozioni che provocano dipendenza”: intervista a Gud di Nicola Peruzzi e Antonio Solinas, su www.de-code.net
Sito casa editrice Tunué, http://www.tunue.com/