giovedì 6 maggio 2010

INNO - ATTO SECONDO

Correndo sotto i piloni della sopraelevata si sentiva un po’ Al Capone: quante volte aveva visto vecchi film di gangster che si inseguivano mitra al braccio? Anche lui stava scappando, ma da se stesso. Per la prima volta, aveva perso il senso. Era successo pian piano, scendendo sui ciottoli diversi a ogni passo: terrosi in collina, dove aveva scelto di vivere per aprire ogni giorno gli occhi su quel mare infinito, sporchi nei vicoli, con quel mix di pesce e curry nell’aria, lisci e tondi sulla riva cittadina. Poi il lavoro, il divorzio, il lavoro. Il divorzio. Correndo, era arrivato al molo: con un traghetto, sarebbe potuto fuggire lontano. Fu allora che il fiatone si trasformò in un profondo sospiro in grado, oltre che di dargli ossigeno, di sentire. La solita, maledetta, aria. Da cui non poteva neanche pensare di riuscire a staccarsi. La solita, magnifica, Genova. Il suo solo senso.

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